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Studenti
Sam Balye on Unsplash

Inclusione scolastica: la lotta per una società “civile"

Integrazione e inclusione sono stati, per molto tempo, due processi considerati distinti, ma con l'altissimo numero di studenti e studentesse con background migratorio, non è più possibile scinderli. In questo articolo una fotografia dello stato di inclusione delle scuole italiane.

Siamo nei primi anni '90 quando in Italia si comincia a parlare di inclusione come di un processo distinto dall’integrazione. Il cambiamento, pedagogico e metodologico, vede l’avvio di processi di inclusione scolastica con l’obiettivo di mettere al centro della scuola il valore della diversità.

Da questo momento la presenza di diversità all’interno della classe è vista come occasione di crescita data dall’interazione.

Inizialmente le riforme e i processi riguardano esclusivamente l’inclusione di ragazze e ragazzi con disabilità. Oggi il concetto si è fortemente allargato.

Cosa significa oggi fare inclusione scolastica per gli alunni con background migratorio?

La presenza di studenti e studentesse con background migratorio è uno dei fenomeni che maggiormente sta sfidando i sistemi inclusivi delle nostre scuole. Nell’anno scolastico 2021/2022, gli studenti senza cittadinanza italiana erano 872.360, rappresentando il 10,6% degli iscritti nelle scuole.

L’organizzazione di ambienti e attività di apprendimento efficaci per un pluralismo culturale, necessita di una specifica preparazione che non sempre docenti o personale educativo possiedono, ad esempio l’abilità di insegnare italiano L2, oppure la conoscenza delle culture di appartenenza dei bambini e delle bambine.

Molti studi hanno certificato l’esistenza, in Italia, di profonde disuguaglianze educative legate a diversi fattori quali il territorio in cui si cresce (Nord-Sud, città e aree interne); le condizioni socioeconomiche familiari; il genere (in quest’ultimo caso per l’accesso delle ragazze alle discipline scientifiche).

Il recente report di Save the Children, “Il mondo in una classe”, è dedicato ad approfondire le disuguaglianze educative che colpiscono, in particolare, bambini e adolescenti figli di genitori di origine straniera. Le statistiche rilevano infatti come gli alunni con background migratorio oggi affrontino maggiori difficoltà nei percorsi scolastici rispetto ai coetanei. La scuola multiculturale richiede agli insegnanti competenze che l’attuale sistema di formazione e di reclutamento non riesce sempre a garantire; gli istituti “di frontiera” hanno bisogno di docenti motivati che gli automatismi dell’assegnazione per graduatorie non possono individuare; hanno bisogno di flessibilità nei ruoli del personale docente, maggiore di quanto non consenta l’attuale contratto del comparto scuola.

Date queste difficoltà, quindi, il background migratorio ha effetti anche sugli apprendimenti. Gli alunni stranieri di prima generazione, ad esempio, conseguono un risultato in italiano mediamente più basso rispetto alla media nazionale al termine della V primaria (un punteggio di 158 a fronte della media di 19654).

Come emerso dall’ultima indagine condotta dall’INVALSI, al termine del primo ciclo di istruzione la quota di studenti che non raggiungono i livelli minimi di competenze in italiano, matematica e inglese tra gli immigrati di prima generazione è doppia (26%) rispetto a quanto si verifica tra gli studenti italiani o stranieri di seconda generazione.

Andando a verificare le percentuali di Early School Leavers, ovvero di ragazzi di 18-24 anni che abbandonano prematuramente gli studi o i percorsi di formazione, senza conseguire un diploma superiore, si rileva che nel 2022 tale percentuale è di tre volte maggiore tra i minori nati all’estero (30,1%), rispetto a chi, pur non avendo la cittadinanza, è nato in Italia (9,8%). Altro dato allarmante riguarda i giovani NEET, ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono inseriti in alcun percorso lavorativo, di istruzione o di formazione. In questo caso la percentuale di NEET tra i minori di origine migrante è significativamente più alta: 28,8% a fronte del 18% tra i minori di cittadinanza italiana.

I fattori finora descritti si acuiscono in particolari zone geografiche, caratterizzate da una forte presenza migratoria e in cui l’illegalità e la tratta di essere umani è un problema ormai radicato e parte del sistema economico locale.

Save the Children, nell’ambito del progetto “Liberi dall’invisibilità”, ha raccolto il grido di allarme lanciato dalle realtà locali del territorio di Ragusa, in particolare di Marina di Acate, una zona nota per l’alta presenza di minori e famiglie che vivono in condizioni di vita disagiate a forte rischio di sfruttamento lavorativo e/o sessuale. La zona è caratterizzata da una “fascia trasformata”, cioè una zona sabbiosa dove sono state installate delle serre per la coltivazione permanente. Qui lavorano, soprattutto illegalmente, migliaia di persone e famiglie, con anche un’enorme percentuale di bambini e bambine sfruttati. Per approfondire puoi leggere il rapporto “Piccoli schiavi invisibili”.

A causa delle necessità economiche delle famiglie e di un sistema pubblico e scolastico senza mezzi - ad esempio non tutti sono raggiunti da un servizio di trasporto pubblico che li possa portare a scuola, che dista anche 12 km dalle loro case - molti minori abbandonano il percorso scolastico in giovanissima età per lavorare nelle serre.

Gli interventi necessari per arginare questo fenomeno sono enormi e ad ampissimo raggio. Parlando di sinergia con le scuole, il tentativo è quello di effettuare una riduzione del danno a breve termine, lavorando su orientamento, supporto alle famiglie e formazione agli insegnanti per la creazione di un setting inclusivo che permetta a tutti e tutte di apprendere e sentirsi a proprio agio nel contesto scolastico. Nell’ambito del progetto, più di 80 docenti sono stati formati nel 2023 e più formazioni e supporto sono state richieste per il futuro.

Sulla piattaforma di Arcipelago Educativo sono pubblicate delle attività, fruibili da tutti, che possono aiutare gli insegnanti a trattare il tema dell’inclusione nelle classi: “Una bella differenza”, “Storie di inclusione”, “Consigli per l’inclusione”.

È fondamentale che l’inclusione parta dalla scuola, da insegnanti formati e operatori consapevoli, che siano abili, oltre che ad insegnare, ad accompagnare bambini, bambine e famiglie in un percorso di riconoscimento di propri diritti, della dignità di persone, delle proprie abilità, in questa società che definiamo “civile” ma per cui dobbiamo costantemente lottare perché effettivamente lo sia.

Continua ad approfondire:

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Leggi anche l'articolo: 100 anni fa nasceva Don Milani: il suo messaggio "I care" per una scuola diversa e inclusiva.

Leggi la pubblicazione "Fare didattica inclusiva nel contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa".

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